Alcune organizzazioni e movimenti della diaspora eritrea in Europa, tra cui il Coordinamento Eritrea Democratica e Stop Slavery in Eritrea Campaign, hanno lanciato un appello ai politici europei affinché sia interrotta qualsiasi forma di collaborazione con il governo di Asmara. L’appello fa seguito alle dichiarazioni dell’Unione europea di aprire “nuovi legami” con il governo eritreo per trovare un impegno condiviso sulla questione dei diritti umani violati e una soluzione comune al problema della migrazione di massa degli eritrei in Europa.
L’Italia rappresenta l’avanguardia di questa nuova politica di apertura alla dittatura di Isaias Afeworki. Risale a luglio 2014, infatti, la visita in Eritrea del Vice-ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, il quale ha orgogliosamente rivendicato la centralità del ruolo italiano in questo processo.
“È arrivato il momento di ricominciare” – ha dichiarato Pistelli dopo la sua visita ad Asmara – “sono venuto qui a testimoniare la volontà di rilanciare le relazioni bilaterali e provare a favorire un pieno reinserimento dell’Eritrea quale attore responsabile e fondamentale della comunità internazionale nelle dinamiche di stabilizzazione regionale” (Comunicato stampa Ministero Affari Esteri, “Missione del vice-ministro Pistelli nel Corno d’Africa. Visita in Eritrea”, 2 luglio 2014).
Il Ministro ha anche aggiunto: “Sono venuto ad attivare un cammino di cooperazione su tutti i settori di reciproco interesse, nella consapevolezza che in questa parte della regione originano molti dei problemi di sicurezza e migratori che si manifestano poi da noi. E per farlo ho voluto chiarire personalmente anche al presidente Isaias qui ad Asmara che l’Italia è pronta a mostrare una disponibilità nuova, che saprà certamente attivare quella fiducia reciproca che è mancata tra di noi da tanti, troppi decenni ormai”.
Le scelte del Ministero degli Affari Esteri non “attivano” nessun nuovo cammino in materia di relazioni internazionali e di cooperazione. Tutt’altro. Consolidano il primato italiano nelle “aperture” alle peggiori dittature mondiali in nome della sicurezza internazionale e del controllo dei processi migratori. Nel 2009, infatti, il governo Berlusconi ha stretto accordi bilaterali con la dittatura di Gheddafi sul controllo dei processi migratori nel Mediterraneo e sui respingimenti in mare dei migranti, accordi che sono stati condannati dal Tribunale dei Diritti Umani di Strasburgo. Nel 2012, il governo Monti ha confermato l’intesa di collaborazione con il nuovo governo libico per fermare l’“immigrazione clandestina”. I patti bilaterali del governo Berlusconi prima e di quello Monti poi sono stati immediatamente contestati da Amnesty International per mancata conformità con le norme internazionali sui diritti umani, dato l’allarmante record della Libia su abusi e violazione dei diritti umani (ricordiamo inoltre che la Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato politico).
Le violazione dei diritti umani in Eritrea sono ormai ben note e denunciate da più fonti. In una lettera scritta in occasione dell’Indipendenza dell’Eritrea (24 maggio) i vescovi cattolici hanno fermamente condannato le violenze del regime di Isaias Afeworki, l’inciviltà di un servizio militare che può durare anche 20 anni e la negazione di tutte le libertà fondamentali, vere cause della migrazione di massa dei giovani. A fine giugno 2014 (N.B un mese prima del viaggio di Lapo Pistilli in Eritrea e l’avvio del “nuovo cammino”) il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha aperto un’inchiesta sulle “massicce violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità eritree”. In passato, provvedimenti simili sono stati presi per Siria, Nord Corea e Sri Lanka.
L’Italia tuttavia con il “new deal” il Vice-ministro Pistelli sceglie di nuovo di collaborare con una dittatura per presunte questioni di sicurezza nel Corno d’Africa e per la “necessità” di trovare politiche comuni nel controllo dei processi migratori, lasciando ancora una volta inascoltate le voci, sempre più numerose, degli eritrei costretti a fuggire all’estero.