A partire dal 5 gennaio 2014, un movimento di proteste pubbliche, atti di disobbedienza civile e di sciopero in Israele da parte di oltre 30.000 richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea e dal Sudan ha attirato l’attenzione di tutto il mondo [1].
I rifugiati lottano per essere riconosciuti come richiedenti asilo e sfidano un recente emendamento alla “legge anti-infiltrazione” (Prevention of Infiltration Law 5714-1954), che autorizza la detenzione a tempo indeterminato in strutture carcerarie “aperte” (La legge del 1954 mirava a impedire il ritorno dei palestinesi espulsi nel 1948).
Il primo emendamento alla legge del 1954 (emendamento numero 3), approvato dal Parlamento (Knesset) il 10 gennaio 2012 estendeva la denominazione di “infiltrato” anche ai richiedenti asilo e, di conseguenza, permetteva la detenzione senza processo fino a tre anni e inoltre la conseguente applicazione delle pene previste dalla “legge anti-infiltrazione”.
Tale emendamento fu dichiarato incostituzionale e annullato dalla Corte suprema di Israele il 16 settembre 2013. Ma poco dopo, il 10 dicembre 2013, la Knesset approvò un nuovo emendamento (numero 4), che prevede un anno di carcere per i richiedenti asilo e in seguito il confino in campi di internamento appositamente costruiti per lo scopo e gestiti dal servizio carcerario israeliano.
Attualmente in Israele si trovano circa 53mila richiedenti asilo, in maggioranza eritrei (circa 36mila) e sudanesi (circa 14mila). Finora Israele riconosce a queste persone solamente una forma di protezione temporanea con “visto a rilascio condizionato”, da rinnovare ogni pochi mesi. Questo visto non garantisce il diritto al lavoro, assistenza sanitaria o alloggio.
In seguito all’approvazione degli emendamenti alla legge del 1954, molti richiedenti asilo sono stati trasferiti da varie prigioni alla nuova struttura di Holot, situata nel deserto e distante da ogni centro abitato. Il cosiddetto campo “aperto” è in effetti un centro di detenzione e ha lo scopo di porre pressione psicologica sui richiedenti asilo tenendoli isolati, inattivi e impedendo loro ogni possibilità di impiego. A Holot i richiedenti asilo sono anche sottoposti a processi di spersonalizzazione e annullamento della loro identità. È stato vietato loro, per esempio, di affiggere immagini religiose. “Qui sei completamente isolato dal mondo esterno ed è una sensazione molto brutta” – racconta l’eritreo Michael Abraha, cristiano,costretto a rimuovere le sue immagini religiose dal muro. “Non so quanto tempo dovrò trascorrere qui, e volevo almeno continuare con le mie tradizioni. Le immagini delle croci mi fanno sentire un po’ più forte”.
Attualmente, come confermato dall’UNHCR, in Israele tutti i richiedenti asilo non hanno accesso a procedure di asilo che rispettino lo spirito della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il Protocollo del 1967.Nel 2009, il Ministero dell’Interno ha avviato le procedure per la richiesta di asilo (Refugee Status Determination), ma fino ad oggi ha riconosciuto lo stato di asilo solo a 2 persone.
Di recente, la drammatica situazione dei richiedenti asilo africani è peggiorata in seguito alla decisione politica di deportare in Uganda i richiedenti asilo, i quali sotto pressioni psicologiche e senza la sicurezza di ottenere il riconoscimento di rifugiato ricevono $3.500 se firmano una lettera di voler lasciare Israele. Tra gennaio e febbraio 2014 sono stati ufficialmente deportati in Uganda 2.200 profughi, senza nessuna garanzia sulla loro sorte.
La rappresentante della ONG israeliana Hotline for Refugees and Migrants, ha confermato il caso di due migranti che, dopo aver accettato di andare in Uganda, sono poi stati deportati in Eritrea e lì imprigionati.
È chiaro che questo programma di espulsione in massa sottopone a particolare rischio di imprigionamento, tortura o morte tutti i migranti, ma in particolare gli eritrei. Un recente comunicato delle ONG Hotline for Refugees and Migrants e Physicians for Human Rights esprime tale grave preoccupazione e chiede che Israele rispetti i suoi obblighi internazionali e i diritti dei richiedenti asilo.
È importante anche indicare che lo stato di Israele ha eretto una recinzione di 240 kilometri lungo il confine con l’Egitto impedendo in tal modo l’ingresso di migranti del Corno d’Africa, che arrivano alla frontiera israeliana dopo un viaggio pieno di rischi e dopo essere sfuggiti ai trafficanti di esseri umani nel Sinai.
[1] Per approfondimenti: Freedom4Refugees in Israel – International Solidarity – The Hotline for Refugees and Migrants – Right Now: Advocates for African Asylum Seekers in Israel – Seeking Asylum in Israel – Physicians for Human Rights – Israel.