di Gabriel Tzeggai
Urbanista eritreo, ha partecipato alla lotta per l’indipendenza dell’Eritrea (terminata nel 1991) e, dopo aver lavorato come urbanista nell’Eritrea indipendente, ha lasciato il paese nel 2006.
11 ottobre 2013
Tutto il mondo sa che nella notte tra il 2 e il 3 ottobre si è consumata una tragedia immane presso Lampedusa. Dal momento in cui questa tragedia è accaduta, tutto il mondo ha saputo che più di trecento persone sono rimaste intrappolate in fondo al mare e la stampa di tutto il mondo ha immediatamente riportato che quasi tutti i morti sono eritrei. Giorno dopo giorno tutto il mondo ha seguito le operazioni di recupero delle salme e, fino al giorno 9 ottobre, i sommozzatori italiani hanno recuperato 302 corpi dal fondo del mare. Ne ha parlato, e continua a parlarne, la stampa di tutto il mondo. Ma non la stampa in Eritrea, almeno non fino al 9 ottobre.
In Eritrea l’informazione è monopolizzata dal governo. L ’unico scabro annuncio della stampa e televisione eritrea, rilasciato il 4 ottobre, diceva che nel Mediterraneo erano morti alcuni “immigrati illegali africani”. Nessun’altra informazione, nessuna menzione dell’entità del fatto e soprattutto nessun cenno al fatto che in gran parte si trattava di eritrei.
Nello stesso giorno Lampedusa esprimeva il suo cordoglio chiudendo scuole, uffici, negozi e tenendo la bandiera italiana a mezz’asta. L’Italia dichiarava il 6 ottobre una giornata di lutto, annunciava che per le vittime di questo naufragio ci saranno i funerali di Stato, in vari paesi e in varie occasioni pubbliche si è dedicato un minuto di silenzio per commemorare i morti, il Papa esprimeva la sua indignazione a voce alta, rappresentanti del governo italiano e dell’unione europea rendevano omaggio alle salme recuperate dal mare.
D’altra parte la comunità eritrea in Italia e altre parti del mondo commemorava le vittime con veglie funebri e altre iniziative. Purtroppo non è la prima volta che la comunità eritrea commemora giovani vittime rimaste in fondo al Mediterraneo. A differenza di altre però, questa volta i corpi delle vittime sono stati quasi tutti recuperati. Era naturale, perciò, pensare a come mandare le salme in Eritrea, poiché tradizione richiede che i morti vengano sepolti dai famigliari nella loro terra secondo il proprio credo. Mentre la comunità rimaneva indignata dal fatto che il regime di Isaias Afewerki non si degnava di esprimere cordoglio, vari siti web, organizzazioni e gruppi nella comunità eritrea pubblicavano appelli affinché il governo italiano provvedesse al rimpatrio delle salme, chiedendo anche che il governo eritreo collaborasse a tale rimpatrio. Nello stesso tempo, tale appello non mancava di ricordare a tutti gli eritrei che, oltre a pregare e commemorare i morti, dovrebbero continuare a essere coinvolti attivamente nel condannare il regime dittatoriale che è la vera causa che costringe i giovani eritrei a fuggire e rimanere vittime di simili tragedie.
Tutti gli eritrei sanno che Isaias Afewerki ha sempre spudoratamente negato che i giovani fuggono in massa dall’Eritrea e che anche in questa occasione avrebbe voluto ignorare tutto, proprio come ha sempre fatto. Tutti sanno che in altra occasione lui ha proibito il rientro in patria della salma di un eritreo caduto in sua disgrazia. L’appello per il rimpatrio delle salme perciò, oltre al sincero desiderio di provvedere a una dignitosa sepoltura in patria, rappresentava anche una sfida al dittatore che sicuramente non prova alcuna commozione o rispetto per queste giovani vittime. La pressione posta dalle varie comunità eritree in tutto il mondo, il dibattito internazionale sull’ immigrazione scatenatosi con la tragedia di Lampedusa, il fatto che l’Italia prestava omaggio nazionale alle vittime del naufragio e il fatto che quasi tutti i morti sono eritrei, ponevano in risalto il silenzio del regime eritreo.
È tutto questo che ha costretto infine il governo eritreo a pubblicare un comunicato stampa il 9 ottobre, sei giorni dopo la tragedia. A Roma, la bandiera che fino a quel momento l’ambasciata eritrea aveva lasciato issata alta, è stata messa a mezz’asta solo il 9 ottobre. Nella stessa data un sito web pubblicava un annuncio senza firma e non protocollato dell’ambasciata eritrea a Roma. L’annuncio dichiara che l’ambasciata fornirà assistenza ai superstiti della tragedia e che il governo eritreo provvederà a coprire le spese per il rientro delle salme in Eritrea (i due documenti sono riportati sotto in pdf).
Basta rivedere alcuni fatti per comprendere come il comunicato stampa del governo e l’annuncio semiformale dell’ambasciata mettano in evidenza il cinismo e l’arroganza del regime dittatoriale.
Il comunicato stampa del governo non cita il numero dei morti e parla solo della morte di alcuni individui, tra cui la maggioranza eritrea. Poi prosegue incolpando i trafficanti di esseri umani e appellandosi affinché questi criminali vengano portati davanti alla giustizia. Chi conosce l’Eritrea contemporanea sa che questa dichiarazione è un’offesa contro tutti gli eritrei. Infatti come può un regime, che da più di un decennio ha incarcerato in prigioni segrete migliaia di persone senza mai aver portato davanti a un tribunale nemmeno una di esse, parlare di giustizia?
Il comunicato prosegue accusando gli Stati Uniti e le istituzioni internazionali per l’esodo dei giovani. Sappiamo tutti invece che i giovani eritrei fuggono perché non hanno la possibilità di lavorare, scegliere come vivere e crearsi un futuro, dato che sono costretti a una servitù militare senza fine e perché non hanno la libertà di muoversi da un posto all’altro, pregare, parlare liberamente, altrimenti finirebbero incarcerati.
Le condoglianze postume del regime eritreo, espresse dopo sei giorni di totale silenzio, contrastano nettamente con il cordoglio sincero dei lampedusani e l’omaggio reso alle salme dal capo del governo italiano.
D’altra parte la dichiarazione dell’ambasciata a Roma di voler aiutare i sopravissuti evidenzia chiaramente l’ipocrisia e il cinismo del regime eritreo. Sono anni ormai da quando centinaia di giovani profughi eritrei vivono miserabilmente in modo inumano nei palazzoni di Collatina e Anagnina. Non sono forse anche loro dei sopravissuti a tragedie simili? Quando mai l’ambasciata si è degnata di assisterli?
Come coprirà il regime le “spese di trasporto” delle salme? Con i 50.000 Nakfa che i genitori delle vittime sono costretti a pagare per ogni figlio fuggito in cerca di libertà? Cosa dirà Isaias Afewerki ai genitori delle vittime? Che sono tornati da quella migrazione che lui aveva descritto come un “pic-nic” di ragazzi capricciosi?
Son tutte domande con risposte evidenti. Come è evidente che l’arroganza di questo regime sta solo tentando di coprire la tanto temuta scritta sul muro: “la fine della dittatura non è lontana”.